Argomento: Un libro sul nuoto
Premessa: l'Italia non è il Congo, con rispetto parlando e, in questo caso, limitatamente all'argomento del nuoto. Non voglio fare la discussione del classico italiano emigrato o giramondo che fuori dai confini nazionali va tutto bene mentre in patria non funziona nulla e siamo lo zimbello del mondo. Non sono daccordo nemmeno, se non altro per una dovuta forma di rispetto nei confronti di chi resta, che i migliori se ne vadano o siano costretti ad andarsene prima o poi. Siamo in molti campi e anche nel nuoto, un centro di eccellenza, con alti e bassi tipici del nostro fascino irresistibile. Diciamo così.
Questa premessa, per anticipare quanti volessero fraintendere il vero obiettivo di alcune mie critiche, perchè è vero che ho studiato e lavorato all'estero, vado e vengo dall'Italia in continuazione ma sono fermamente convinta che la potenzialità del movimento natatorio Italiano sia pari o superiore al livello delle grandi corazzate estere. Anche dell'America. Il nuoto è da anni in crisi mondiale con calo di praticanti e presenta su scala globale pressochè le stesse difficoltà. Tutto ruota intorno alla mancanza di motivazione e all'incapacità di crearla e mantenerla. Il discorso è banale ma anche grave: i giovani di oggi non sono quelli di ieri e in un mondo così esasperatamente generoso nei loro confronti il nuoto fatica a mantenere un certo appeal. Chi può biasimarli?
Nel mondo dello sport mi occupo di marketing e vedo tutto in termini di incontro tra domanda e offerta, in questo caso i giovani e le scuole o squadre di nuoto. La mia considerazione di fondo è che in questo meccanismo, nei confronti di altri paesi, siamo avvantaggiati per la qualità dei nostri giovani, ma svantaggiati per il livello medio del servizio erogato. Se alcune delle lamentele comuni circa l'arretratezza del mercato Italiano sotto vari aspetti sono fondate, è altrettanto vero che non tutti i mali vengono per nuocere e che spesso più arretratezza si traduce in minore disgregazione di alcuni valori. Questo ci conferisce qualche anno di vantaggio, rispetto a paesi dove il nuoto è sempre più uno sport di elite risicando al minimo il bacino di utenza potenziale dal quale selezionare i propri alfieri. Può sembrare strano parlare di antropologia e sociologia per argomentare le prestazioni sportive ma un processo di formazione che mira a coltivare l'eccellenza deve capire necessariamente come non commettere errori grossolani. Secondo me il giovane italiano per quanto sia bamboccione e svogliato, lo è 30% meno di un americano e 50% in un inglese. Di contro, questi paesi hanno metodi didattici validissimi e, cosa più
importante, li applicano con una omogeneità maniacale sul territorio dove noi non siamo in grado di uniformare i metodi nemmeno a 100 metri di distanza.
Non ho una risposta per risolvere il problema e chiaramente una risposta attendibile non può arrivare da una sola persona, la quale potrebbe al massimo avere una intuizione, ma il discorso mi appassiona abbastanza sia personalmente, avendo passato mezza vita in vasca, sia professionalmente essendo incaricata di effettuare delle valutazioni su prestazioni potenziali di tipo commerciale di uomini e strutture anche nel mondo del nuoto (maggior parte dei budget sono destinati ai pallonari di ogni ordine e grado).
Ma perchè tutto questo polpettone e non arrivo direttamente al punto? Ciò che ha stimolato la condivisione di questo problema con tutti voi è stata la presa visione di un libro italiano che vorrebbe insegnare ai novelli istruttori come si fà. Ne ho letti alcuni stralci con una amica, la quale me lo ha portato a colpo sicuro, e ne abbiamo riso di gusto. Non è bello, non è corretto, non si fa, ma lo abbiamo fatto. Cercando di penetrare il denso liguaggio di supercazzole tipico dei manuali tecnici italiani, non solo del nuoto, ma già di per se uno spasso, ci siamo rese conto che alcuni contenuti erano delle bestialità pure, altri solo cose mal espresse o frutto di un evidente copia e incolla trascurato. Per fare un esempio, solo della trascuratezza ma non della gravità, definisce e descrive come grab start ciò che nel mondo è conosciuto come track start.
A onor del vero dal punto di vista dei concetti è generalmente un buon libro ma è davvero inconfutabilmente scritto da cani.
Fermo restando, però, che alcune cose importanti espresse sono davvero molto discutibili, e tenuto conto che il primo compito di un manuale dovrebbe essere quello di comunicare la conoscenza nel meno equivoco e più semplice modo possible, e qui vengo finalmente al punto: la gravità di questa pubblicazione è data dal fatto che l'autore è forse in Italia la massima autorità nella didattica del nuoto. Mentre dico questo mi sento un po' beppe grillo, chiudete gli occhi e visualizzate.
Per questo, cioè per l'autorità dell'autore, che ci giro intorno da un po' e mi domando: possiamo avviare una discussione da bar, cioè con toni rilassati noncuranti del reato di lesa maestà, con l'obiettivo di chiarire se il problema di una offerta formativa così scadente non sia da ricercarsi proprio alla fonte dove le informazioni (supercazzole) vengono alla luce? In altre parole, è o non è un mistero da risolvere come mai per alcuni uomini sia più facile andare sulla luna piuttosto che spiegarmi una gambata a rana?
Proporrei degli stralci del testo da analizzare insieme, come una sorta di lettorato abusivo. Possono davvero partecipare tutti e tutti dire la propria, perchè il nuoto teorico non ha dei prerequisiti didattici invalicabili da rispettare, finchè si mantengono i piedi in terra - in tutti i sensi!
Ciao