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Lifeguard: lavoretto o figura professionale?

Lifeguard (assistente bagnanti) figura professionale

Nell’immaginario collettivo italiano, il lavoro dell’assistente bagnanti (alias bagnino di salvataggio) viene sovente visto come uno di quei lavoretti estivi che un ragazzo sceglie di fare per racimolare qualche soldo.

La verità è che si tratta invece di una figura professionale (nel mondo conosciuta come lifeguard o guardavida), sulla quale ricadono grosse responsabilità, alle quali non si può ottemperare con una preparazione marginale, limitata dall’idea che si tratti di un lavoretto.

Lo scopo primario degli istruttori che si occupano della formazione dovrebbe essere proprio quella di correggere questa visione, contribuendo a dare il giusto peso al brevetto che rilasciano.

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Scegliere di lavorare nel mondo del soccorso acquatico significa vivere a pieno questo settore: approfondirne e conoscerne a fondo tecniche, attrezzature, protocolli, ecc.
Non si può credere che la professionalità sia una richiesta eccessiva e fuori luogo per questa mansione, o peggio ancora di essere dei professionisti per il semplice fatto di aver seguito un corso.
Il brevetto è soltanto un’abilitazione, non un punto di arrivo. Allenamento specifico e aggiornamento continuo devono essere due pilastri portanti.

È impensabile anche che un professionista del soccorso in acqua non pratichi qualche sport acquatico, non abbia mai nuotato nel mare formato, non viva il mare anche fuori stagione.

Non c’è nulla di sbagliato nel fatto che questa professione sia esercitata anche da personale di primo pelo (anche perché da qualche parte bisogna cominciare), ma è buona prassi che all’inizio le nuove leve vadano ad affiancare operatori già esperti, con anni di servizio ed esperienza alle spalle.

Stiamo parlando di un soccorritore professionista, a tutti gli effetti. Le responsabilità legali che ricadono su di lui sono enormi, e spesso sproporzionate rispetto all’età, l’impostazione e lo stipendio di un ragazzo alle prime armi.

Purtroppo la cronaca (anche recente) ci ha ricordato in più occasioni queste cose, ma sembra purtroppo che sia altrettanto facile dimenticarle, visto che alla fine non cambia mai nulla. Inoltre abbiamo già affrontato il discorso di quanto possa essere difficile e complesso il nuoto in mare

Negli episodi di cronaca che hanno visto coinvolti operatori del salvamento, le principali cause di negligenza o imperizia si possono ricondurre alla superficialità nel sistema di sorveglianza (in genere in piscina, o in acqua piatta) o l’incapacità di intervenire in contesti impervi (mare formato, corrente, frangenti, ecc).

Non sono da sottovalutare anche le competenze in materia di soccorso sanitario, e soprattutto le capacità psicologiche necessarie a saper gestire un’emergenza (e quelle difficilmente le fornisce un corso).

In questo settore c’è in ballo la vita umana, prima del soccorritore e poi del pericolante. Non si può prendere con leggerezza.

Per approfondire di più il settore professionale del lifeguarding visita il sito www.davidegaeta.com e i miei canali social (Facebook e Instagram)

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